Che fiore stupendo.

Quando ero piccola ma non troppo, in quella spaesante terra di mezzo in cui non sei più bambina ma nemmeno ragazza mia madre un giorno mi scrisse una lettera. In quella lettera usò la metafora dei fiori per farmi capire che ognuno di noi è unico e perfetto così com’è e che non dobbiamo mai pensare di dover assomigliare a qualcun altro. Fece il paragone tra una rosa che è sotto gli occhi di tutti, intensa e seducente con i suoi petali vellutati e un’orchidea. L’orchidea mi scrisse non si fa vedere da tutti. Si nasconde in mezzo agli alberi ma quando la scopri lei si mostra in tutta la sua bellezza. Io per lei ero un’orchidea. Mi rimase impressa per sempre questa metafora e mi aiutò per tutta la vita a riconoscere la mia essenza e a considerare certe parti di me come la timidezza, la tendenza a stare un po’ nell’ombra, valori e non difetti. Ultimamente ho scoperto che esiste una pratica buddista che si chiama “innaffiare i fiori”. È un rituale che ci chiede di esprimere una caratteristica dell’altra persona che riteniamo una qualità. Siamo tutti come fiori. Unici, pieni di freschezza, pronti a fiorire (e a rifiorire) se riceviamo i nutrimenti di cui abbiamo bisogno. L’amore, la gentilezza, il rispetto, il riflesso dell’altro nei nostri occhi. Noi possiamo essere per i nostri bimbi quell’acqua che permette loro di crescere e sbocciare. Li possiamo innaffiare mostrando loro quanto sono belle tutte quelle sfumature che li rendono individui irripetibili. E lo so che è un mondo che ci fa sentire sempre un po’ fuoriluogo, sradicati, scollegati dal nostro cuore. Ma forse con piccoli gesti, una passeggiata in mezzo alla natura o un disegno a casa fatto insieme, un momento condiviso per mostrargli attraverso il nostro sguardo tutta la loro freschezza… forse possiamo nutrire i nostri bimbi e riportarli a casa. Quella casa che è dentro ognuno di noi. 

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