La danza della libertà.

La libertà non è fissa e immutabile. Si scolpisce sulla pietra e poi il vento, le maree le piogge della vita ne definiscono la forma. Può essere profonda, come una grotta in cui ritrovare il proprio fuoco o lieve, accennata e sfuggente come una carezza. 

Muta la libertà, continuamente. Come le stagioni, come le temperature del nostro cuore. 

Nena e Nina crescendo la cercavano andando a tentativi. Due stanze separate, un bagno per condividere. Amici solo miei, amici solo tuoi, amici di tutte e due. 

“Ora basta però, fatti più in là, dammi aria, fammi esistere un po’ da sola”.

A volte si pestavano i piedi, infilavano le braccia una nel golf dell’altra per capire quale fosse la loro vera misura. Una danza scoordinata, due passi più vicine, tre più lontane.

Cercavano il loro spazio per esistere, prendendo a tratti le distanze o annullandole completamente. Invadere i confini per poi rimetterli in discussione ancora.

Quando erano piccole una difronte all’altra facevano il gioco dello specchio. 

Se muovo un sopracciglio lo muovi anche tu. Se giro la testa verso sinistra tu la muovi verso destra. Passavano ore a specchiarsi, concentratissime nella missione di emulare esattamente i gesti una dell’altra.

Ad un certo punto lo specchio smise di funzionare. Nena si scioglieva i capelli, Nina li tirava su. Nina si asciugava una lacrima, a Nena spuntava un sorriso. Gesti che si distinguevano, scelte che cambiavano, lo specchio che restituiva immagini disarmoniche, un mare increspato da un periodo nuovo.

E allora ci si chiudeva un po’. Nelle proprie camere. Nei propri silenzi. Nelle telefonate infinite con l’amica di scuola. Nei diari segreti in cui nascondere le proprie verità.

Non erano più una difronte all’altra ma schiena contro schiena come i tronchi di due alberi che si appoggiano uno all’altro per non cadere. Non guardavano più una nella direzione dell’altra ma si sostenevano nelle difficoltà.

La libertà di Nena e Nina passava attraverso il gioco delle differenze. Veniva reclamata a gran voce e a volte in modo scomposto, burrascoso perché in certi casi ci vuole la tempesta per trovare il coraggio di lasciarsi un pò. Durava sempre poco l’acquazzone. Come la terra dopo un temporale, i raggi di sole fanno evaporare la pioggia, le foglie degli alberi si scrollano di dosso il timore, il cielo si apre e mostra un azzurro luminoso.

Così Nena e Nina infilavano una mano nello spiraglio della porta che era rimasta socchiusa e se la stringevano forte circondate dai festosi fiori della tappezzeria e dal blu profondo della moquette.

Non osavano dirselo ma lo impararono con il tempo 

che erano libere di allontanarsi perché tanto sarebbero sempre tornate.

Cara Notte.

Cara notte,

Che spegni il sole e accendi le stelle

Fammi sognare solo cose belle

Il calore della mia mamma 

Che ogni  sera mi scalda

Le coccole del mio papà 

Che per farmi ridere sa quel che fa.

Cara notte,

Ricarica le mie energie

E fammi ripartire per tutte le vie

Fammi volare con la fantasia

E portami gioia ovunque essa sia.

Tieni lontane le paure

Regalami sogni e grandi avventure.

Cara notte,

Prendi le fatiche del giorno

E falle lesse, solo un contorno.

Metti a tacere le arrabbiature

Falle piccine, dolci e mature.

Fammi sognare le caramelle

Pupazzi e risate a crepapelle. 

Cara notte,

Porta calma nel mio cuore 

Fammi sentire tutto l’amore

Amore che sono e che mi circonda 

che di giorno si esprime

e di notte asseconda.

Ascolta il Mantra della Buona Notte.

Aria di cambiamento.

La primavera a casa di Nena e Nina quando arrivava si manifestava nelle piccole cose. I pensieri dell’inverno venivano presi e stesi ai primi raggi di sole ad asciugare e semini di speranza iniziavano a crescere  in mezzo ai non ti scordar di me.

Nena e Nina si affacciavano alla finestra ogni mattina in attesa di vedere la prima primula. 

“Eccola guarda là!” 

“La vedo la vedo anche io!”. 

Improvvisavano una danza dei fiori, girando in tondo come piccole indiane. 

La prima primula era una promessa, indietro non si poteva andare. 

Ci sarebbero stati temporali, giorni freschi, grandinate improvvise ma l’inverno era finito.

Il chiacchiericcio fitto e disordinato degli uccellini le svegliava al mattino portando allegria al posto del buio dell’inverno appena trascorso. 

E ogni momento diventava attesa. Attesa di vedere sbocciare i fiori di ciliegio, attesa della fioritura della forsizia, attesa delle margherite che venivano poi raccolte per fare ghirlande da appendere ai capelli. Ogni primavera portava nuovi desideri, sensazioni nella pancia, farfalle e formiche ai piedi. Segnali di tutta la vita che Nena e Nina volevano prendersi. Stavano cambiando. I capelli lisci si ondulavano come tralci di uva, le braccia si allungavano affusolate e le gambe facevano male, scricchiolavano la sera nel letto, come il legno quando si assesta con il calore. Cercavano di farsi spazio in un mondo ancora sconosciuto.

Nena era una gerbera gialla. I capelli chiari, il sole negli occhi, le manine piccole e delicate e rideva tanto. Accendeva stanze e cortili con le sue risate. Macchie di colore nel crepuscolo.

Nina era un’orchidea, si nascondeva tra i rami come se non volesse farsi vedere e stupiva dopo essere stata cercata, stanata, portata alla luce come la luna che spunta dietro una nuvola.

Erano diverse e unica la via che le avrebbe portate alla felicità.

Nena una primavera prese una chitarra e iniziò a suonare. Colmava le stanze con la sua voce e sentiva di non voler essere in nessun altro posto del mondo. Nina cantava con lei e quando si stufava restava accanto scomparendo un po’ tra le pagine di un libro.

In quei giorni, di quella primavera gli armadi di camera loro iniziarono ad esplodere come pop corn.

Si provavano tutti i vestiti del mondo e in nessun pantalone si sentivano loro stesse. Stavano cambiando pelle e nessun abito sembrava della misura giusta.

Lanciavano magliette per aria e qualunque felpa indossata sembrava il peggior nemico del mondo. I contorni non erano più definiti. Sei gerbera o Dente di Leone? Sei orchidea o viola del pensiero? Si guardavano e non si riconoscevano più.

C’era un posto però dove tutto sembrava sempre chiaro. Il loro bagno. Testimone di momenti tutti loro.

In quegli specchi, nelle piastrelle fredde e bianche che riflettevano la luce, sui tappetini di spugna azzurri Nena e Nina si sentivano al sicuro.

Una accanto all’altra creavano la loro terra ferma in un mondo che intorno a loro sbocciava, cresceva, cambiava velocemente. Quando le emozioni davano le vertigini, quando la pioggerella rendeva annebbiata la vista, bastava correre lì, nella loro isola protetta. A volte si parlava di cose serie ma tante altre volte no. Bastava sedersi con la schiena appoggiata alla vasca vicine vicine e una fresca risata faceva della loro sorellanza il porto in cui sapevano che avrebbero sempre trovato riparo. Uscivano da quelle sessioni segrete rigenerate. Pronte a indossare qualunque abito, perché mescolando i loro pensieri ridisegnavano i confini e si sentivano davvero nei loro panni. Se avvicini i petali di due fiori diversi cosa succede? Si libera nell’aria un profumo nuovo, la primavera di tutti i cambiamenti che rendono unico ogni percorso di vita.

Mantra del buon inizio.

Credo profondamente nel poterei dei rituali. Nella forza dell’intento. Astrologicamente l’anno nuovo è iniziato solo da una settimana. L’anno del Coniglio per l’astrologia Cinese. Che questo 2023 porti nutrimento a tutte le persone che negli ultimi anni hanno vissuto un lungo inverno del corpo e dell’anima.

Che ognuno di noi possa formulare pensieri felici per ricominciare ad attirare il meglio dall’esistenza.

Un anno d’acqua, per nutrire la terra.

Un anno d’acqua, per nutrire la terra.
Portare pace a chi è ancora in guerra.
Abbiamo messo profonde radici
E rivalutato come essere felici.
Ci siamo stretti in poche certezze,
Nell’amore abbiamo creato fortezze.
Ora basta barriere! Vogliamo volare.
Come onde nel mondo fluire.
Vogliamo spazio e più libertà
Oggi è così e poi chissà.
Vogliamo vestirci di tutti i colori.
Riempire gli occhi di odori e sapori.
Vogliamo difendere la nostra voce.
Starci a sentire senza troppe parole.
Con occhi, mani e un profondo respiro
Avere il coraggio di dire “ti ammiro”.
Cambiare strada senza paura.
Basta che porti oltre le mura.
Allora crea subito un pensiero felice.
Attiri ciò che pensi lo sai? Così si dice.

Il regalo inaspettato.

Era la mattina di Natale.

La casa era ancora addormentata. Ogni cosa sembrava avvolta da una stanchezza dolce, uno spazio creato per trattenere i ricordi più belli. I suoni della vigilia danzavano ancora nei sogni. Il vociare forte degli adulti riuniti, le grida di gioia dei bimbi, i rumori dei piatti pieni, dei bicchieri mezzi vuoti, dei pacchi scartati.

Sotto l’albero, in mezzo ai nastri dei regali già aperti era rimasto un piccolo pacchetto.

“Mi hanno dimenticata? Che ne sarà di me? Mi butteranno nel bidone della carta?”

Pensava tristemente Nanita tra sé e sé.

Nanita era una piccola bambolina di stoffa. Aveva due lunghe trecce di lana rosse sempre girate verso l’alto, un corpicino soffice, un vestitino di stoffa a scacchi, due dolci occhi neri e un sorriso sempre stampato sulla faccia.

Forse per la confusione o forse semplicemente perché doveva andare così era rimasta lì, triste e sola, al buio avvolta in una carta di regalo senza avere nemmeno lo spazio per muoversi. 

Nina stava ancora dormendo. Abbracciata a Camomilla, il suo nuovo pupazzo a forma di tartaruga.

Nena invece quella mattina si svegliò prima di tutti gli altri. Le previsioni davano neve e voleva correre alla finestra per vedere il prato spolverato di bianco.

In punta dei piedi per non fare rumore andò in salotto. Guardò fuori. Il cielo era carico di nuvole. Nuvole intrecciate una all’altra, come una coperta calda cucita sulle nostre teste. Non aveva ancora iniziato a nevicare ma tutto lasciava pensare che avrebbe iniziato presto. 

Si guardò intorno. Sulla tavola c’erano i resti della cena. Le bucce dei mandarini, la cesta con le noci, i cioccolatini. I bicchieri con gli avanzi di spumante e i piatti con i canditi del panettone che nessuno voleva mai mangiare. Nena adorava infilare le dita nell’impasto e sfilare tutti quei quadratini colorati uno per uno. 

 
Per terra c’era un tappeto di carte di regali. Come foglie gettate al vento dopo una tempesta. Una tempesta di gioia. L’emozione della vigilia, delle risate, dei giochi, del profumo del tacchino ripieno di castagne. La magia dei regali sotto l’albero. Era stata una serata perfetta e lei aveva ricevuto proprio quello che voleva: un kit per disegnare vestiti alla moda.

Nena si avvicinò all’albero. Adorava rimanere a guardare le lucine accendersi e spegnersi, immaginarsi la storia dei personaggi tutti diversi uno dall’altro con cui sua madre amava decorare il grande abete. 

In quel momento Nanita, ancora rinchiusa nel suo pacchetto, sentì che fuori c’era qualcuno. 

“Devo farmi sentire! Aiutooo sono quiiiii mi senti???? Aiutoooo!!!!!”.

Ma la sua voce non poteva essere sentita. 

Il gatto però sì, poteva sentirla. Per quel potere tutto speciale dei gatti di ascoltare ciò che gli umani non sentono. 

Il gatto, anzi la gatta, si chiamava Bibi. Era bianca, tanto selvatica quanto fedele e amata dalle bambine. 

“Miaooooo”. Bibi si avvicinò al pacco dov’era nascosta Nanita e iniziò a giocare con il fiocco. 

“Bibi che fai?”. Nena accarezzò il gatto e in quel momento si accorse del regalo. 

“Cosa ci fa un pacco ancora chiuso?”. Nena lo prese tra le mani. Lo girò da una parte e poi dall’altra alla ricerca di un indizio. 

“Di chi sarà questo regalo? Qualcuno deve averlo dimenticato!”. 

Poi, nascosto sotto al nastro rosso che lo racchiudeva lesse il suo nome “Per Nena”. 

Per me? Da dove spunta fuori?

Nena scartò il dono con minuziosa attenzione. Una morbidissima trecciolina rossa spuntò fuori dal pacco. 

Appena vide comparire Nanita nel suo cuore esplose un’emozione mai provata prima. Nena e Nanita si guardarono occhi negli occhi. Fu amore a prima vista. Si strinsero una all’altra in un abbraccio che le avrebbe unite per sempre.

A volte i regali più belli, sono proprio quelli inaspettati. Incroci di anime e di pensieri che cambiano la nostra vita. Legami destinati a durare anche quando intorno tutto cambia.

Fiocchi di neve iniziarono a cadere lentamente dal cielo per festeggiare con loro il Natale più speciale. 

Da quel giorno furono inseparabili. Se Nena si sentiva stanca, triste, felice, irritata correva a prendere la sua Nanita. Le prendeva la mano e la accarezzava. Si addormentava con lei, si svegliava con lei, si consolava con lei. Compagna di vita e di emozioni. La migliore amica del mondo. 

A forza di accarezzarla Nanita ogni tanto perdeva qualche pezzo. Caddero le trecce, gli occhi si consumarono, ogni tanto si strappava la stoffa di una gamba o si staccava un piedino. Fu così che Nena iniziò a cucire. Prendeva pezzi di stoffe che amava e le usava per curare la sua Nanita. 

Nanita cambiò look infinite volte. E per Nena la sua bambola era sempre la più bella di tutte. 

Ora Nena è grande. Nanita riposa in una scatola in fondo ad un armadio ma la loro amicizia non è mai finita. Legate una all’altra da infiniti fili colorati.

Podcast dell’episodio Qui.

Piccola Meditazione del sole.

Questo è un viaggio per grandi e piccini ma soprattutto per i piccini.

Per quei momenti in cui il cielo è grigio e sentiamo il bisogno di riaccendere il sole.

Ci sono giorni in cui ci sentiamo un po’ scarichi. Come foglioline al vento.

Sbattuti un po’ di qua e un po’ di là. Ci sentiamo la testa dentro una nuvola. 

Non abbiamo voglia di fare niente. Vorremmo stare sotto le coperte. Nasconderci sotto una montagna di pupazzi. 

In quei momenti, quando il sole non c’è noi abbiamo il potere di farlo tornare. 

Con l’immaginazione noi possiamo farlo brillare dentro di noi. 

Seguite la mia voce. Vi guiderò in un viaggio bellissimo verso il sole. 

Per prima cosa sediamoci oppure distendiamoci per terra. 

Chiudiamo gli occhi. Ascoltiamo il nostro respiro. 

L’aria fresca entra dal naso ed esce tiepida come l’aria dell’estate. 

Appoggiamo le mani sulla pancia mentre respiriamo. 

L’aria entra fresca ed esce tiepida. 

La pancia si gonfia come un palloncino e poi si sgonfia. 

Respiriamo ancora e teniamo gli occhi chiusi. Ascoltiamoci. 

Ora immaginiamo di vedere comparire davanti a noi una nuvola. 

È soffice, bianca come panna montata. Che forma ha? È a forma di poltrona? O di barchetta? Immaginate la vostra nuvoletta. 

Quando avrà preso forma immaginate di salirci sopra. È morbida, è comodissima. 

Siete saliti? Bene. Ora la nuvoletta dolcemente si solleva da terra. Piano piano inizia a salire. Vedete la vostra casa dall’alto. I palazzi della vostra città. I tetti si allontanano e si fanno sempre più piccoli. Gli alberi diventano puntini verdi. Saliamo sempre più su. Ci allontaniamo dalla terra. La vediamo ora rotonda e colorata e noi saliamo sempre più sù verso il sole. Siamo arrivati. Eccolo lì il sole. Caldo e luminoso. La nuvoletta si ferma. 

Adesso, allunghiamo le nostre braccia verso la luce e sempre con gli occhi chiusi sentiamo tutto il calore del sole, la sua luce, i suoi raggi. Immaginiamo che tutto quel calore e quella luce entrino nelle nostre mani. 

Ora Appoggiamo le nostre mani piene di sole sul nostro cuore. Sentiamo il nostro corpo illuminarsi. Il calore è come quello di un abbraccio. Avete presente l’estate? Le vacanze, i giochi, il mare, il caldo. Portiamo l’estate dentro di noi. Nella testa, nelle orecchie, nel collo. Poi nelle spalle, nelle braccia, nel petto. Tutto si riscalda. Iluminiamo poi la nostra pancia, le gambe e i piedi. 

Adesso siamo pieni di sole. 

Prepariamoci per salutarlo. Ringraziamolo per tutta questa luce. Ciao sole, grazie.

La nostra nuvoletta comincia a scendere. Piano, piano, con calma ci riporta verso la nostra terra. Vediamo i tetti delle case farsi sempre più vicini. Gli alberi con le loro foglie verdi e i rami che si allungano verso il cielo, le macchine per le strade che si muovono veloci. Vediamo casa nostra e ci entriamo dentro. La nuvoletta ci ha riportati al punto di partenza. Scendiamo e la salutiamo. Con la mano, con un bacio, come vogliamo. Ascoltiamo ancora per un attimo il nostro respiro. L’aria fresca che entra e quella tiepida che esce. 

Poi, quando ci sentiamo pronti apriamo di nuovo gli occhi.

Il nostro viaggio è finito.

Ricordatevi che la nuvoletta è sempre pronta a portarvi verso il sole. Ogni volta che avrete voglia di un po’ di luce. Quando siete stanchi, magari un po’ arrabbiati o tristi e non sapete nemmeno perché. Con il potere dell’immaginazione noi possiamo accendere il sole nel nostro cuore.

QUI TROVATE PODCAST DELLA MEDITAZIONE.

Pesciolino e il primo respiro.

C’era una volta un pesciolino piccolo piccolo. Piccolo come un seme, anzi come un granello di sabbia.

Questo pesciolino era così piccolo che potevi solo immaginarlo.

Era un pensiero luminoso. Rubato all’universo da un grande amore.

Pesciolino nuotava. E lo sentiva tutto quell’amore lì. Era un respiro del cuore. 

Un abbraccio tiepido intorno a lui. Un mare calmo, una luce gentile. Un battito cullava il suo sonno e non lo faceva mai sentire solo. 

Ogni tanto quel mare diventava all’improvviso più caldo. E una voce bellissima lo attraversava creando dolcissime onde. E danzava, danzava. Chiudeva gli occhi e si muoveva. Si fidava di quello che sentiva. Lì dove si trovava non esisteva lo sguardo del mondo e lui non conosceva un altro modo di esistere. Sapeva ascoltarsi e ascoltare. Lì, in quel sentire, c’erano tutte le risposte.

Certi ricordi non sono fatti di parole ma solo di sensazioni. Quello che sentiamo rimane parte di noi. Come una seconda pelle invisibile agli occhi che ci proteggerà per sempre. 

I giorni passavano e pesciolino cresceva. Il mare intorno a lui però era sempre lo stesso e col tempo lui iniziò a sentirsi un po’ stretto. Non aveva più tutto quello spazio per rotolare e girare su se stesso e una forza irresistibile aveva iniziato a spingerlo a testa in giù. 

All’inizio era divertente. Uno, due, tre capriola! Poi un giorno non riuscì più a tornare su. Rimase bloccato così con la testolina verso il basso e iniziò a sentirsi un po’ scomodo. 

Accadde poi che un giorno il mare iniziò a incresparsi. Quella forza potente e sconosciuta iniziò a scuoterlo, schiacciarlo, spingerlo. 

Pesciolino non ebbe il tempo di avere paura.

Uno squarcio di luce, una discesa ripida e poi il freddo. Un freddo che gli tolse il fiato. Non avrebbe mai più avuto così freddo in tutta la sua vita come in quel momento.

Tornò subito dopo il respiro. Un respiro nuovo. Un respiro di aria fresca. Un pieno e un vuoto, il ritmo degli alberi e della terra, una cantilena “in questo respiro tu esisti, in questo respiro tu esisti, in questo respiro, tu esisti”.  

E poi lo ritrovò. L’abbraccio caldo che l’aveva cullato per mesi.

Una lacrima rimase lì. Appesa come un frutto maturo ad un angolino del suo occhio. Era una lacrima di nostalgia. Una nostalgia che l’avrebbe accompagnato per tutta la vita ricordandogli, sotto la prima pelle che tutto cambia ma la salvezza, quella resta per sempre. Non avrebbe mai più ritrovato intorno a lui quel mare calmo. Ma l’avrebbe portato dentro. Nei battiti del suo cuore.

Due braccia lo presero. Pelle contro pelle. Cuore contro cuore. Era così bello ritrovarsi che faceva quasi male. Un bacio asciugò la lacrima come a volersi riprendere quel mare da cui tutto ha origine. 

La Nostalgia resta per sempre. Fa parte del viaggio. È il ricordo di un amore senza condizioni che non è fatto di parole ma di atomi di luce.

Ad ogni bambino e ad ogni mamma. Alla nostalgia del principio e al mare sicuro. Al distacco senza il quale non potremmo esistere. All’amore senza il quale non potremmo esistere.

Al respiro della terra e al ricordo, del respiro del cuore.

Podcast disponibile qui.

Little Sunny Tales / Parte 2 / Lo sgabuzzino dei segreti.

Nena e Nina condividevano la stessa cameretta. I loro letti erano prati fioriti, ricoperti di edera e non ti scordar di me. Sulle mensole, dall’alto, vegliava su di loro una famiglia di pupazzi colorati e un cielo di stelle fosforescenti. Il momento più bello dei loro giochi era la sera. La mamma dava loro la buonanotte e poi se ne andava chiudendo la porta. Nena e Nina aspettavano qualche minuto silenziose facendo finta di dormire e, una volta sicure di essere rimaste sole, iniziavano a giocare. Erano giochi luminosi, rubati al giorno che sta per finire. Attimi segreti che appartenevano soltanto a loro. In quei momenti non litigavano mai. Complici e libere di essere bambine sotto un cielo di stelle finte.

C’era il lancio dell’ippopotamo. Partite a pallavolo in piedi sul letto e un pelouche usato come palla. Schiacciate, bagher, salti e capriole che immancabilmente finivano con una rovinosa frana di oggetti dalle mensole sulle loro teste.

C’era il gioco della catapulta. Nena si metteva distesa per terra con le ginocchia al petto e Nina si sedeva sui suoi piedi. Uno due tre viaaaaa! Nena stendeva le gambe e Nina volava dritta verso il termosifone. E ridevano, ridevano fino alle lacrime ogni volta che Nina atterrava sulla moquette. Il gioco più bello però era la missione sgabuzzino. Accanto alla loro camera c’era una stanzetta piccola piccola con un grande armadio pieno di tesori. Lì venivano nascosti regali, stoffe, vecchie scarpe, vestiti della mamma che non metteva più. C’era anche una scatola che Nena amava particolarmente. Aghi, spilli, fili colorati, bottoni grandi e piccoli. Nena toccava tutto con le sue piccole dita. Tuffava la mani in mezzo a quei minuscoli oggetti come se fossero caramelle. Poi chiudeva la scatola e finita la missione esplorativa finalmente andavano a dormire. 

Gli anni passavano. Le bimbe crescevano. 

“Nina?”

“Dimmi Nena”.

“Io vorrei una camera tutta per me… quasi quasi vado nello sgabuzzino.”

“Sei sicura? Nello sgabuzzino?”.

Iniziarono così i lavori. L’armadio sparì insieme ai suoi tesori. La stanzetta si trasformò nella nuova camera di Nena. Un piccolo mondo tutto suo dove diventare grande. Nina rimase l’unica inquilina della camera dei giochi. Non si sentiva sola perché sua sorella era ad un passo da lei. Semplicemente iniziavano a compiere i passi che le avrebbero rese le adulte che sono. Ognuna con il proprio spazio, unite da un filo invisibile e separate da un muro parlante. Quello dell’ex sgabuzzino segreto. 

Passarono gli anni e lo sgabuzzino e la scatola dei tesori rimasero dei semplici ricordi. 

Possono gli oggetti parlarci? E le pareti in cui cresciamo raccontarci una storia? Le persone possono continuare a vivere negli spazi dove hanno vissuto, creato, sognato?  

Un’estate, Nena e Nina ormai grandi si ritrovarono nella casa al mare con la loro mamma. Uno di quei rari preziosi momenti tra donne. Quando le cicale smettono di cantare, i bambini dormono e le donne si mettono in cerchio a parlare di loro.

“Sapevate che la stanza dove è cresciuta Nena prima che voi nasceste era lo studio dove la Nonna cuciva?”. Disse la mamma.

“Quale Nonna”. Chiese Nina.

“La nonna di Caracas!”. Rispose la mamma.

Ed ecco che come per magia, all’improvviso le quattro pareti dello stanzino si allargarono. Rividero i pesci tropicali e il sole di Caracas. L’insegna su un negozio, la nonna e il suo cucito, un via vai di gente che lei sapeva rendere felice e meravigliosa con i suoi abiti. Una nonna che anche nel suo non esserci più era sempre presente con il suo ricordo sparpagliato e confuso. Una nonna mai conosciuta ma sempre al loro fianco. 

“Nena oggi cuci anche tu”. Disse Nina.

Nena sorrise emozionata.

Senza dirselo, sapevano di aver fatto una scoperta straordinaria.

I luoghi avevano una memoria e loro erano riuscite a risvegliarla.

PODCAST DELL’ESPISODIO DISPONIBILE QUI https://anchor.fm/anna-ponti

Per il bimbo che sei.

Non sono giorni semplici. Pietro e le sue prevedibili fatiche causate dall’inizio delle elementari hanno tolto sonno e serenità. È il classico periodo in cui tutti intorno ti sembrano a loro agio e tu non sai da che parte iniziare per mettere a posto le cose. Tutto in ordine niente a posto come dice mia sorella. Che attività fa tuo figlio? Sa già leggere? Sa già scrivere? Ho imparato con l’esperienza quanto sia importante fare silenzio intorno a noi quando si tratta dei nostri bambini. Ho capito che non esiste un “giusto o sbagliato” in assoluto ma un “giusto e sbagliato per lui perché lui è un individuo e in quanto tale è unico e ha esigenze che magari non corrispondono a quelle degli altri". Per questo ho scelto, mentre tutti intorno rincorrono le iscrizioni alle mille attività extrascolastiche di far fare a Pietro un bel nulla. Tempo a pieno a scuola, un cuoricino sensibile e pieno di confusione e di emozioni che non sa dove mettere. La paura di non saper fare o il voler fare troppo. Silenzio. In quei momenti noi abbiamo imparato che niente come  la natura, le mani nella terra, il rumore dell’acqua, la caccia agli insetti riescono a calmare Pietro. Quando in lui c’è troppo rumore ha bisogno di essere portato da un’altra parte. Cambiare situazione. Ieri siamo tornati a casa dopo un’ora di giochi agitati e sempre un po’ sull’orlo della tragedia con i compagni e Pietro ha voluto fare il bagnetto. Ha sempre adorato fare il bagnetto e ci sono stati periodi in cui glielo facevo ogni giorno. Ieri è rimasto nell’acqua calda per un’ora intera. Gli ho lasciato tutto il tempo che voleva invece di farmi prendere dalla solita fretta. Mentre io preparavo la cena, Vitto si rilassava guardando un cartone, lui è rimasto lì. Ogni tanto andavo a guardarlo, il viso rilassato e felice, gli occhi chiusi e le orecchie sotto l’acqua come a voler ritrovare un contatto con il suo cuore. Quando è finalmente uscito dalla vasca sembrava un altro. Ci siamo seduti a tavola e incredibilmente mi ha detto “che bello stare qui a parlare” invece di correre subito via dopo mezzo piatto di pasta. Stamattina mi sono svegliata meno preoccupata e più fiduciosa. Ho fiducia in te bimbo mio e stai sereno. Attraversiamo i cambiamenti, come dici tu “impariamo sbagliando” ma soprattutto ricordiamoci che andiamo bene così come siamo e che più ascoltiamo il nostro cuore più riusciremo a sentirci bene e a stare bene con gli altri. Scusa per tutte le volte in cui mi sono fatta influenzare e in cui presa dalla preoccupazione ho detto e fatto esattamente il contrario di ciò che avrei voluto. Cercherò di ascoltare sempre di più la mamma che sono e il bimbo che sei. Ti prometto che crederò di più in me e con l’esempio spero che tu possa fare lo stesso. 

Littles Sunny Tales. Capitolo 1.

Nella vita niente è per caso. Il percorso di ognuno di noi è ricco di segnali, orme che ci raccontano da dove veniamo e chi siamo. Un giorno sono andata a trovare mia sorella nel suo laboratorio di abiti per bambini. Eravamo sedute una davanti all’altra e parlando di noi ci siamo rese conto di come la vita intera sia sempre stata cosparsa di segnali che ci indicavano una direzione. In quel momento è nata l’idea di raccogliere questi segnali e di scriverne una storia. È nato questo progetto a puntate, tanti piccoli racconti di due sorelle, due paesi, una nonna speciale e una memoria fatta da tanti preziosi dettagli.

Spero possa portare grandi e piccini a credere sempre nei propri sogni.

Le illustrazioni sono di Roberto Blefari – Hikimi. Questo blog è nato con lui e sono felice di ritrovare il suo modo unico di leggere le mie storie.

Il mondo creato da mia sorella è quello di Paquita Littles Sunny Clothes e la potete trovare qui: https://www.instagram.com/paquita_littlesunnyclothes/

Il Filo Ritrovato.

Questa storia racconta di due sorelle Nena e Nina, nate a distanza di 24 mesi una dall’altra. La più grande era una rosa d’inverno ma aveva il sole caldo negli occhi. La seconda era un fiore di primavera con lo sguardo di rugiada. Entrambe avevano viaggiato piccole piccole su un aereo molto grande, in alto in alto nel cielo, per raggiungere con mamma e papà Caracas, la capitale del Venezuela. Quando sei piccolo tutto sembra grande. Fiori grandi, strade grandi, un sole grande e un cielo immenso. Quel cielo del Sudamerica per loro era infinito. Quel tempo lì invece durò poco. I ricordi sono impressi nelle vecchie fotografie. Due album, foderati di stoffa, uno rosso e uno rosa, consumati a forza di riguardarli. Un copridivano a fiorellini, una bambola tenuta dai capelli a testa in giù, una terrazza illuminata, mamma Ola, la loro seconda mamma Colombiana con i capelli ricci ricci fitti e neri, la Ciccia, la bevanda bianca, spumosa dolcissima a base di riso, un triciclo e poi pagine bianche. Tante pagine bianche come se ad un certo punto, all’improvviso i ricordi avessero smesso di essere trattenuti. 

Ma se in una storia salta un pezzo come fai a capirla tutta?

Ritornano soltanto dopo un po’, le foto. 

Dai colori dei tropici all’arancione dell’autunno torinese. 

Le stesse bimbe da quel momento si ritrovarono sotto un meraviglioso acero che ogni autunno si incendiava di colori che scaldavano il cuore. Ogni anno una foto.

Le braccia si allungavano, le gambe anche, gli sguardi invece erano quelli di sempre.

I ricordi di quegli anni sapevano di erba sotto i piedi. L’odore della pioggia, la gara di lumache, il rumore dei tergicristalli della macchina della Nonna, i pattini in cortile, le palle di neve. Tanta neve, tantissima neve, tanta da chiudere le scuole. Quando al telegiornale la sera annunciavano la chiusura delle scuole in casa i festeggiamenti duravano ore. Nena e Nina andavano a dormire emozionate pregustando il risveglio immerse in un paesaggio incantato. Mentre la neve, lì, era più alta di loro del Sudamerica rimaneva solo una carta da parati in cucina. 

Quattro pareti ricoperte di fiori, farfalle e uccelli colorati.

Lì Nena e Nina passavano ore a sbattere l’uovo con lo zucchero, a fare gli agnolotti con papà a scrivere messaggi segreti che venivano nascosti e mai più ritrovati. Amavano quella cucina. Quell’angolo di Caracas nell’umido inverno Piemontese.

Le due sorelle crescevano insieme. Diverse come il sole e la luna eppure sempre dalla stessa parte. La sera, quando la mamma  la porta di camera loro dopo il bacio della buonanotte, iniziava il loro mondo segreto. Il gioco della catapulta, le partite a pallavolo fatte con i peluche, le risate, le stelle luminose e poi i sogni una accanto all’altra, unite da un filo indistruttibile. 

I ricordi non sono solo fili di perle di nostalgia. 

Sono orme che ci riportano alla nostra essenza.

Mappe capaci di raccontarci chi siamo. 

E si sa, la vita a volte ti rimescola come una centrifuga a tal punto che non sai più dove hai le mani e dove sono i piedi. In uno di quei momenti, Nena e Nina ormai grandi si ritrovarono chinate a terra.

“Nena? Che fai chinata lì?”.

“Sto cercando una cosa e tu?”

“Anche io…”.

Cercavano il capo del filo della loro storia. 

“Eccolo! Urlò all’improvviso Nena.

Prese subito un ago tra le dita e, come faceva la loro nonna iniziò a cucire.

“Esprimi un desiderio”, disse Nina  che credeva sempre nelle magie.

“Voglio creare abiti. Abiti per bambini. Desidero che possano indossare la gioia del Venezuela, i profumi dell’autunno, i colori dell’estate e anche quelli dell’inverno. Voglio che siano comodi nei loro panni, veri. E sentirsi belli e liberi. Ti ricordi i vestitini con il colletto di velluto che dovevamo mettere noi da piccole? Io non ci respiravo lì dentro!”.

“Certo che mi ricordo!” Disse la più piccola prendendo una penna. 

E si mise a scrivere. Solo scrivendo Nina riusciva a fare ordine quando le emozioni la travolgevano. 

In quel momento presero una decisione: avrebbero ricostruito una storia che aveva perso per strada tantissimi pezzettini. 

La loro storia. Non sapevano bene ancora dove questa ricerca le avrebbe portate.

Una cosa però era certa, in quella storia era nascosta la chiave per realizzare tutti i loro sogni più grandi. L’avrebbero trovata e l’avrebbero fatto insieme. Unite dal loro filo invisibile.

Trovate il mondo, la visione, l’ispirazione di mia sorella nelle creazioni per bambini di Paquita Littles Sunny Tales:

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