Senza chiedere nulla.

“L’acero è l’archetipo dell’albero come antenna per gli impulsi provenienti dalle sfere più elevate. Ci aiuta a vedere chiaro e, allo stesso tempo, armonizza i nostri pensieri.”

L’acero è  per me una fotografia dei cambiamenti. Di ciò che si disperde e di quello che resta. Siamo io e mia sorella in braccio a mia mamma incorniciate dal rosso fuoco delle foglie in autunno. Io e mia sorella che cresciamo, ci allunghiamo come rami verso l’alto, lasciandoci abbracciare dal colore delle stagioni. Il nostro punto fermo. Casa. Famiglia. Radici nel fiume del tempo che passa. Radici contorte che, a volte, non si sa bene dove affondino ma che ci appartengono più di quanto siamo disposti ad accettare. Ricordo in quelle fotografie il mio sguardo che cambia immerso in quel paesaggio sempre uguale. Il mio cercare in quel profumo di foglie bagnate e di pioggia e terra qualche risposta alle mie domande troppo grandi per una bambina così piccola. Oggi c’è una nuova casa. Una nuova famiglia. Una nuova me che mette radici. Un inizio che è un punto di incontro tra il passato e il futuro. Tra i luoghi da cui provengo e i mondi dove vorrei tanto arrivare. E c’è anche lui. L’acero. L’albero di una vita. In questa foto c’è tutto ciò che voglio dare e di cui ho bisogno. Il senso di dove sono oggi e delle persone con cui ho scelto di continuare a crescere.

“Le nostre foglie si aprono verso l’esterno, vogliamo dare amore, dare quello che è la nostra essenza di alberi e vogliamo darlo senza chiedere nulla, perché è nella nostra natura dare. Ci sono uomini che danno per natura e se questo avviene non per un condizionamento, ma per generosità senza bisogno di riconoscimento allora è un movimento che va diretto dal cuore verso l’esterno e non si perde nulla, perché il cuore riceve sia dal basso che dall’alto. In questa circolazione d’energia d’amore, c’è il segreto della nostra essenza Ogni essere vivente se si lascia nutrire da ciò che lo circonda può dare all’infinito perché è l’infinito quello che lo nutre.”

È possibile.

Il tuo cielo mi doveva una stella. Quella che non mi ha dato l’anno scorso. Avrebbe dovuto proteggermi dalle notti più buie. Me la sono presa quest’anno. Una stella tutta per me con una scia lunghissima. Ho espresso un desiderio per noi. La tua spiaggia mi doveva una speranza. Quella di poter essere ancora felici. L’ho raccolta racchiusa in un opercolo, un occhio di Santa Lucia. I desideri hanno potere? I pensieri possono cambiare la realtà? Questa tenda mi doveva il calore. Di abbracci stretti in cui guarire dalla paura di perdersi ancora. Io a te, luogo mio, dovevo l’abbandono. La mia presenza senza fughe. I miei sorrisi e gli occhi chiusi sotto il sole. Ti ho offerto tutta la mia anima e in cambio ti ho chiesto di rigenerarla. Ho lasciato che il tuo vento spazzasse via dolore dalla pelle. Forse per questo c’è stato vento forte quasi ogni giorno. Ho permesso al tuo mare di restituirmi il mio sguardo, ho lasciato che le tue rocce roventi mi bruciassero i piedi per cancellare via i passi falsi. Siamo partiti in una notte illuminata da fuochi d’artificio e abbiamo pensato che lì, noi, siamo ancora possibili.

Come conchiglie sulla sabbia.

Sono come conchiglia. Travolta dalle onde, accarezzata, persa, dimenticata. Il mare dentro, granelli di sabbia che mi proteggono dai raggi del sole. Sono qui, nella spiaggia di sempre, nel posto di una vita. Impronte di nonne, di madri, di figlie e di nipoti. Impronte che si confondono una nell’altra. Percorsi da seguire o da cambiare per sempre. Guardo l’orizzonte come se mi guardassi dentro. Mi faccio conchiglia e lascio che ogni onda porti via qualcosa con sé. Un momento di panico, un batticuore, un errore, una parola mancata, una di troppo, notti in bianco, sonni perduti, ferite scavate come buche le cui pareti franano ad ogni sguardo. Famiglia. Insieme raccogliamo vetrini colorati per rimettere insieme i pezzi. In ogni colore cerchiamo un destino differente. Il tuo qual è? Hai paura di restare e di lottare per la felicità? No. In ogni forma cerchiamo un sorriso e se poi arriva un cuore blu ce lo teniamo stretto. Giri di giostra. Come giri sulla vita. I bambini hanno occhi che brillano, piedi che frullano, mani che aiutano. Ci prendiamo cura di noi. Mio figlio parla nel sonno, mi cerca ridendo e io rimango seduta in piena notte a guardarlo felice, di essere stata un sogno felice.

21 giugno.

Aguri a te, bimbo mio, mia anima gemella. Il mio primo giorno d’estate. Auguri a te che mi metti alla prova, mi misuri continuamente per assicurarti che il mio amore sia incondizionato. Misurami quanto vuoi. Ti amo e ti amerò sempre senza se e senza ma. Auguri ometto che cresci alla velocità della luce, che ti fai alto, sempre più alto, gambe lunghe, braccia lunghe, ciglia lunghe come se volessi sfiorare le nuvole con la punta della tua fantasia. Grazie per tutte le volte che ci fai ridere. Per ogni volta che mi hai abbracciato vedendomi soffrire “Mammina stai bene?”. Sì sto bene amore mio. E credimi, non sai quanto mi dispiaccia che tu abbia visto la tristezza. Oggi abbiamo tutti imparato anche ad asciugarci le lacrime. Come dice tua sorella “non ci sono più le goccioline mamma”. Che poi sarebbero le lacrime che a volte rimangono sulle ciglia come perle. Sei tenace. Lo sei sempre stato. A sei mesi gattonavi. A 3 anni andavi in bici senza rotelle. Il passeggino non l’hai mai voluto. Tu vuoi andare lontano. Non ti preoccupare. Io sarò sempre qui ad aspettarti. Ci sarò sempre e ti guarderò esplorare il mondo con la tua testolina piena di idee e di fantasia, con il tuo modo di osservare tutto ciò che ti circonda e di farlo tuo, con tutta la tua forza di volontà. Ti auguro di rilassarti. Di non avere fretta e di goderti ogni momento. Perché le capacità per fare ogni cosa che vorrai tu le hai dentro. Quello che dobbiamo imparare tutti è fermarci a goderci quello che c’è. Oggi è il 21 giugno. Ed è un 21 giugno più speciale degli altri. È una presa di posizione contro il dolore. Una scelta di felicità e leggerezza. Oggi è un giorno di festa per te e per tutti noi. Che il sorriso rimanga sul nostro viso fino a notte fonda. Che il nostro cuore si faccia lieve come zucchero filato. Che tu sia sempre certo, di tutto il nostro amore. Auguri Pietro. 

Quel Covid, dava un tono all’ambiente.

Le mamme ai tempi del Covid, lavoratrici o no, sono mamme che dicono un sacco di parolacce. C’è chi le dice fra i denti in serpentese, chi a metà, chi azzarda una virata, cazzperino, vaffareungirett, porrrrccini ne vuoooi? C’è chi corre in bagno per tirare giù un paio di santi e chi invece la dice proprio tutta e ad alta voce per giunta, per poi cercare di riparare con un “bambini non si dice alla mamma è scappata una parolaccia perché è un pochino stanca ma voi non dovete dirla mai questa parola. Mai mai mai ok?” . La mamma già sa che la parola incriminata verrà riproposta e usata da quel giorno  finché morti non li separi e che alla domanda “da chi l’hai sentita?” la risposta sarà inderogabilmente “DALLA MAMMA”, caso chiuso l’udienza è tolta. 

Le Covid mamme hanno un solo tipo di sguardo. Lo sguardo atterrito, spiritato, posseduto di chi sa che da un momento all’altro un figlio starnutirà, tossirà o il termometrò rileverà un fatidico 37.5 ° e loro sanno che in quel 37,5° ci sono tutti i 9 gironi infernali  danteschi e che Caronte le sta aspettando armato di certificati e tamponi.

Le Covid Mamme mostrano una nuova forma di demenza. Si chiama demenza post lockdown. Chi soffre di questa patologia mostra i seguenti sintomi: vuoti di memoria, attacchi di ridarola incontrollabili alternati a crisi di pianto, perdita della capacità di formulare frasi di senso compiuto o di seguire il filo dei discorsi. A causa di questo disturbo la Covid Mamma passa solo informazioni sbagliate e dimentica sempre un pezzo: la mascherina di ricambio in cartella per il figlio, l’igienizzante, la temperatura rilevata scritta sul diario, l’orario di entrata del figlio 1, l’orario di uscita del figlio 2, le uova per fare la frittata, il riso per il risotto, la call che era pianificata alle 12 e la telefonata arriva mentre sta pulendo il water perché ha confuso i giorni e, visto che non vuole lasciare il lavoro a metà, presenta al cliente con lo spazzolone del cesso in mano mettendo in muto quando tira l’acqua. 

Le Covid Mamme ipotizzano. Immaginano ogni tipo di scenario, pianificano strategie, misurano le possibilità, valutano i pro e contro, prevedono, si organizzano così tanto per fare perché tanto sanno che tutti i programmi da un momento all’altro saltano come mine.

Le Covid Mamme infatti non sono multitasking. Le Covid Mamme sono giocoliere, acrobate, trapezziste, contorsioniste. Fanno tutto con una mano sola mentre con l’altra stanno facendo tutto il resto. Le Covid Mamme hanno uno squilibrio. Ormonale, mentale, del sonno, del peso e soprattutto del carico che ogni giorno, tutte, senza mai tirarsi indietro portano sulle proprie spalle. Le Covid Mamme sono solidali. Sono amiche vere. Si supportano, si sopportano, si telefonano, si consolano, si confidano, si vogliono bene, se la ridono, stappano prosecchi come fosse sempre capodanno,  stappano in un’ora di libertà, stappano per spostare i pensieri un po’ più in là.

Le Covid Mamme hanno imparato a SDRAMMATIZZARE perché o sdrammatizzano o “sai, questo… questo è un caso molto, molto complicato, Maude. Un sacco di input e di output. Sai, fortunatamente io rispetto un regime di droghe piuttosto rigido per mantenere la mente, diciamo, flessibile”.

Sulla pelle.

Mi sono tatuata acqua sulla pelle. Quando ho imparato ad accettare la mia natura. Trovo sempre una via di uscita, scorro, mi infiltro e, a volte, sono cascata. Sento sempre tutto, le parole sono per me gocce che scompongono la mia superficie. Cambio forma continuamente, a volte evaporo all’improvviso o divento onda che tutto travolge. Nutro ogni persona che incontro, riempio i vuoti con gesti d’amore. Io sono nata, per nutrire la terra, quando è troppo arida. Mi sono tatuata fuoco sulla pelle. Quando ho imparato a credere in ciò che faccio. Quando ho capito che la rabbia non sempre distrugge e che il fuoco non brucia soltanto. Quando è nata mia figlia che ogni giorno mi insegna la forza della volontà e della ribellione. Mi sono tatuata terra sulla pelle. Quando mi sono presa cura delle radici per non perdermi più. Radici paterne che raccontano storie in cui la voglia di vivere vince su tutto, anche sulla malattia. Quando ho imparato a dire no senza andare in frantumi, ad avere pazienza, a fare un passo dopo l’altro senza il timore di non arrivare mai. Mi tatuerò aria, sulla pelle. Quando una risata cristallina sarà il mio buongiorno, quando mi prenderò in giro molto di più, quando ballerò dove voglio, con chi voglio, vestita di tutti i colori del mondo. Respirerò, volerò, sussurrerò al mondo che la vita, questa vita, sa essere davvero bella.

Dammi una mascherina e ti guarderò negli occhi.

E così la mascherina diventa parte di noi. Della nostra quotidianità, dei nostri buongiorno e dei nostri come te la passi. Impariamo ad osservare di più i dettagli per riconoscerci anche da lontano. Come camminiamo, come ci vestiamo, quanto sono lunghi i nostri capelli. Non possiamo abbracciarci, non possiamo stringerci la mano, non possiamo sorriderci, non possiamo fare altro che scambiarci lo sguardo. E non lo abbassiamo più lo sguardo, per non dover rinunciare anche a questo. Pensavo che alla fine la mascherina invece di nasconderci forse ci sta mettendo a nudo. Perché se è vero che gli occhi sono le specchio dell’anima in questo momento ci stiamo tutti leggendo dentro. I nostri sguardi stanno raccontando la parte più vera e umana di noi. Come stiamo, come ci sentiamo, se abbiamo paura o se siamo felici. Non possiamo e non vogliamo mentire. Credo che non dimenticherò gli occhi dolci di un’amica vicina di casa pieni di tutta la voglia di stringerci che avevamo, gli occhi azzurri e profondi del medico che ha ammesso la sua emotività per farmi ammettere la mia, non dimenticherò gli occhi velati di lacrime, quelli allegri, quelli spaventati, quelli buoni, quelli da un’altra parte e non vedo l’ora di rivedere gli occhi di tutte le persone che amo. Stanno diventando come perle questi occhi per me, li metto in fila e li tengo vicini ai miei pensieri come un gioiello prezioso. Perché parlano. Parlano di esistenze, di storie, di persone che come me hanno dovuto rivedere ogni priorità. Ora sappiamo meglio di prima quanto contiamo l’uno per l’altro. Mi preparo ad affrontare questa fase due così. Pensando che continueremo a leggerci dentro e ad avere il coraggio di mostrarci per quello che i nostri occhi dicono.

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Diario dalla quarantena. Giorno chissà.

Avevo scritto una settimana fa e poi non ho pubblicato. E non pubblicherò perché in una sola settimana ancora tutto è cambiato. Io sono cambiata. Oggi per la prima volta mi sono resa conto di come abbiamo affrontato fino ad oggi tutto questo come guerrieri. Non ci siamo guardati indietro e non guardiamo avanti. Lavoriamo, perché dobbiamo farlo, proteggiamo i bambini il più possibile perché dobbiamo farlo, stiamo a casa il più possibile perché dobbiamo farlo. Si chiama sopravvivenza. Necessità. Non mi ero mai fermata a ragionare o meglio, a sentire l’immensa portata di ciò che stiamo attraversando. Ho cercato di vedere solo il bello e di tenere lontanissimo il brutto. Non mi ero soprattutto mai fermata a ragionare sul mondo che abbiamo all’improvviso, da un giorno all’altro messo da parte. Fino ad oggi. Questo pomeriggio ho portato fuori il cane e Pietro mi ha accompagnata. Abbiamo fatto la breve strada che separa casa nostra dalla Dora. La stessa strada che tutti i giorni facevamo con i bambini per andare a scuola. Arrivati al Ponte Einaudi Pietro mi ha detto “Mamma io vado di qua”. Lui stava andando a scuola. Era pronto ad attraversare e a percorrere la strada che l’ha sempre condotto verso la sue certezze. Era la prima volta che usciva di casa dopo settimane. Io gli ho risposto “No Pietro, non andiamo di là. Facciamo il giro del ponte con il cane e torniamo subito a casa”. L’ho detto però con le lacrime agli occhi. In quel momento, in quel bivio, mi si è palesata all’improvviso tutta la libertà alla quale abbiamo rinunciato. Tutta la vita che stiamo tenendo in sospeso. E non me ne ero resa conto, così a fondo fino ad oggi. Ho affrontato tutto andando semplicemente avanti. Facendo tutto il possibile per non perdere tutto. Lavoro, famiglia. Lavoro, famiglia. Tutto in pochi isolati dai quali non mi allontano ormai da settimane. Oggi lo sguardo di Pietro oltre quel confine che ci siamo posti mi ha sbattuto in faccia la portata di ciò che stiamo vivendo. Mi è mancato il fiato. Tutto si gioca in questi giorni sulle distanze. Dalle persone. Dalla nostra quotidianità. Distanze dilatate dai nostri parenti e amici. Dai nostri uffici. Distanze ridotte a zero di movimento, respiro, convivenza. E mai come oggi mi è arrivato dritto chiaro al cuore come nulla tornerà come prima. Ora riconosco il valore che avrà il giorno in cui, mano nella mano, io e i mei bambini ripercorreremo l’incrocio che dalla Dora ci porterà verso la nostra libertà. E c’è questo fiume che oggi scandisce il mio perimetro. La mia rete di salvezza e allo stesso tempo di clausura. In questo fiume oggi io lascio andare la mia libertà così come trattengo invece la mia fiducia nell’umanità e nel fatto che da tutto ciò, quando ne saremo usciti, sapremmo trarre grandi insegnamenti. Che queste barriere invisibili non diventino eterne ma che al contrario possano rappresentare la trama necessaria per una nuova forma di libertà e vicinanza. Fatta di priorità e consapevolezza. Pietro, ti prometto che tornerai dai tuoi compagni e che vi abbraccerete senza paura. Tornerai nel cuore delle tue amate maestre. Ti prometto che il giorno in cui potremo di nuovo attraversare quell’incrocio lo faremo correndo e cantando di gioia. Nel frattempo, tra alti e bassi, con i nervi tesi, io cercherò di fare di ogni spiraglio di vento, una finestra verso il futuro. E l’unico modo per farlo è non guardare indietro e nemmeno un passo avanti. Qui e ora. Momenti indimenticabili alcuni tristi, altri intrisi di vita, inevitabilmente ancorati al presente. Qui e ora. Necessariamente, finalmente. Che io possa ricordare questo per sempre e non perdere mai più il valore immenso di ogni attimo vissuto. future.jpg

Quando soffia il vento.

“Non credo nel Fato. Credo che abbiamo una scelta: che il vento si possa placare, che l’Uomo Nero si possa ingannare e che si possano addirittura sopire le Anime Belle”. Joanne Harris – Le scarpe rosse.

Nell’ultimo mese un inaspettato vento caldo si è alzato forte. 28 gradi a febbraio. Dovevamo aspettarcelo il cambiamento, perché il vento non si risveglia mai per caso. Il vento è caos che tutto travolge, solleva, sbatte, picchia, strappa, per poi placarsi all’improvviso, lasciando nel mondo un nuovo ordine. Ed eccolo qui il caos. Portato da un Uomo Nero invisibile che ci chiude in casa e ci stravolge la vita. Nono sono i numeri, non sono i dati a farci davvero paura. È il caos a paralizzarci perché nulla concede e tutto pretende. Eccoci qui, obbligati ad abbandonare vecchi schemi, una routine all’interno della quale ci sentivamo al sicuro, attività per pensare sempre di più al nostro e del resto che ci importava. Eccoci qui. Le mie scelte ora sono le tue. Le mie azioni sono per tutti. Ogni passo ha una conseguenza, anzi due visto il fattore RO. Oggi correvo lungo la mia Dora. Erano le 9 del mattino e a quell’ora il sole brilla tra le foglie e l’aria sa di terra bagnata. E c’è questo fiume che scorre e i pensieri che ristagnano vengono trascinati via. Un passo dopo l’altro. In quei momenti io spazzo via le mie nuvole. Proprio mentre correvo ho ripensato a questo libro letto tantissimi anni fa. Le scarpe Rosse di Joanne Harris. Un libro che parla di vento, di caos e di cambiamento. E ho pensato che oggi se ne sta andando per noi nel vento del caos tutto ciò che non era importante. Oggi c’è un tempo dilatato fatto di poco, a volte di niente eppure così pieno di tutto. Lo sguardo si è spostato. Stiamo guardando dentro. In casa, nella testa, nel nostro battito cardiaco “cosa provo? Come mi sento?”, in famiglia. Non ci lasciamo andare. Siamo isolati eppure non siamo mai stati così vicini. Ci prendiamo cura gli uni degli altri, stando per conto nostro. Ci mandiamo pensieri, ci mandiamo coraggio. I minuti si riempiono di domande che passano dal “cosa facciamo in casa oggi?” al “cosa faremo di noi?”. A galla è salito l’amore e ci sono anche le litigate ma di quelle che servono. Di quelle che ti chiedono di capire o di ascoltare di più. E dentro di me c’è finalmente un mio nuovo spazio per esistere. Ci voleva il caos per ricordarmi chi sono?

Oggi mentre correvo ho visto un uomo seduto su una panchina da solo. Guardava il fiume scorrergli davanti. Mi sono chiesta quali pensieri stesse lasciando andare via e mi sono chiesta se l’ordine nuovo dentro di lui, fosse bello come quello che si sta creando dentro di me. Non so come andrà. Non so come ci organizzeremo. Ma so che abbiamo deciso di cambiare. E il primo passo verso questo  cambiamento è fatto di rinunce che più che amare, vi dirò a me sanno tanto di vita.

“Quel vento. Lo sento soffiare adesso. Furtivo ma imperioso, ha dettato
ogni mossa che abbiamo fatto. Anche mia madre lo sentiva come lo sento
io, perfino qui, perfino adesso, mentre ci spazza come foglie in questo
angolino e ci fa danzare fino a ridurci a brandelli sul selciato.
V’là l’bon vent, v’là l’joli vent…
Pensavo che l’avessimo messo a tacere per sempre. Ma anche il minimo fatto può risvegliare il vento: una parola, un segno. Anche una morte. Non
esiste nulla di irrilevante. Tutto ha un prezzo: tutto si somma finché il
bilancio si modifica e ce ne siamo andate di nuovo, di nuovo in cammino,
a dirci: la prossima volta, forse…”

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A tutte le bambine (ribelli o no).

Ci sono bambine ribelli, altre che invece accettano col sorriso le regole. Stanno entrambe rispettando la loro natura e sono preziose tutte e due perché sono vere. Crescendo impareranno che a volte stare nelle regole è utile e che ogni tanto uscirne aiuta a sconfiggere i mostri. Ci sono bambine con i pantaloni che amano spiderman. Altre invece che adorano smalti glitter e bacchette magiche. Potranno diventare amiche perché entrambe hanno negli occhi il sole di chi fa ciò che ama. Ci sono bambine che sognano di volare altissimo, altre che preferiscono il misterioso profondo del mare. Tutte e due vogliono andare sempre un po’ più in là, vedere cosa c’è oltre il limite e forse, un giorno, si lanceranno segnali da un capo all’altro dell’universo. Ci sono bambine che dicono scusa e altre che dicono forti grazie. Diversamente capaci di amare loro stesse e gli altri. Ci sono bambine che adorano le fragole altre che hanno sempre le fregole. Sorridono se non si sentono sbagliate. Alle bambine che non vivono di stereotipi e nemmeno di contro stereotipi, che non indossano abiti stretti e rendono ogni giorno unica la propria vita. Bambine amate a cui nessuno chiede loro di essere diverse. A loro io dico fate vostro e migliore questo mondo. A mia figlia che è una ribelle con l’abito da principessa io dico grazie per avermi ricordato che se abbassi la testa, la corona cade. E tu sei nata per fare la regina.

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