Little Sunny Tales / Parte 2 / Lo sgabuzzino dei segreti.

Nena e Nina condividevano la stessa cameretta. I loro letti erano prati fioriti, ricoperti di edera e non ti scordar di me. Sulle mensole, dall’alto, vegliava su di loro una famiglia di pupazzi colorati e un cielo di stelle fosforescenti. Il momento più bello dei loro giochi era la sera. La mamma dava loro la buonanotte e poi se ne andava chiudendo la porta. Nena e Nina aspettavano qualche minuto silenziose facendo finta di dormire e, una volta sicure di essere rimaste sole, iniziavano a giocare. Erano giochi luminosi, rubati al giorno che sta per finire. Attimi segreti che appartenevano soltanto a loro. In quei momenti non litigavano mai. Complici e libere di essere bambine sotto un cielo di stelle finte.

C’era il lancio dell’ippopotamo. Partite a pallavolo in piedi sul letto e un pelouche usato come palla. Schiacciate, bagher, salti e capriole che immancabilmente finivano con una rovinosa frana di oggetti dalle mensole sulle loro teste.

C’era il gioco della catapulta. Nena si metteva distesa per terra con le ginocchia al petto e Nina si sedeva sui suoi piedi. Uno due tre viaaaaa! Nena stendeva le gambe e Nina volava dritta verso il termosifone. E ridevano, ridevano fino alle lacrime ogni volta che Nina atterrava sulla moquette. Il gioco più bello però era la missione sgabuzzino. Accanto alla loro camera c’era una stanzetta piccola piccola con un grande armadio pieno di tesori. Lì venivano nascosti regali, stoffe, vecchie scarpe, vestiti della mamma che non metteva più. C’era anche una scatola che Nena amava particolarmente. Aghi, spilli, fili colorati, bottoni grandi e piccoli. Nena toccava tutto con le sue piccole dita. Tuffava la mani in mezzo a quei minuscoli oggetti come se fossero caramelle. Poi chiudeva la scatola e finita la missione esplorativa finalmente andavano a dormire. 

Gli anni passavano. Le bimbe crescevano. 

“Nina?”

“Dimmi Nena”.

“Io vorrei una camera tutta per me… quasi quasi vado nello sgabuzzino.”

“Sei sicura? Nello sgabuzzino?”.

Iniziarono così i lavori. L’armadio sparì insieme ai suoi tesori. La stanzetta si trasformò nella nuova camera di Nena. Un piccolo mondo tutto suo dove diventare grande. Nina rimase l’unica inquilina della camera dei giochi. Non si sentiva sola perché sua sorella era ad un passo da lei. Semplicemente iniziavano a compiere i passi che le avrebbero rese le adulte che sono. Ognuna con il proprio spazio, unite da un filo invisibile e separate da un muro parlante. Quello dell’ex sgabuzzino segreto. 

Passarono gli anni e lo sgabuzzino e la scatola dei tesori rimasero dei semplici ricordi. 

Possono gli oggetti parlarci? E le pareti in cui cresciamo raccontarci una storia? Le persone possono continuare a vivere negli spazi dove hanno vissuto, creato, sognato?  

Un’estate, Nena e Nina ormai grandi si ritrovarono nella casa al mare con la loro mamma. Uno di quei rari preziosi momenti tra donne. Quando le cicale smettono di cantare, i bambini dormono e le donne si mettono in cerchio a parlare di loro.

“Sapevate che la stanza dove è cresciuta Nena prima che voi nasceste era lo studio dove la Nonna cuciva?”. Disse la mamma.

“Quale Nonna”. Chiese Nina.

“La nonna di Caracas!”. Rispose la mamma.

Ed ecco che come per magia, all’improvviso le quattro pareti dello stanzino si allargarono. Rividero i pesci tropicali e il sole di Caracas. L’insegna su un negozio, la nonna e il suo cucito, un via vai di gente che lei sapeva rendere felice e meravigliosa con i suoi abiti. Una nonna che anche nel suo non esserci più era sempre presente con il suo ricordo sparpagliato e confuso. Una nonna mai conosciuta ma sempre al loro fianco. 

“Nena oggi cuci anche tu”. Disse Nina.

Nena sorrise emozionata.

Senza dirselo, sapevano di aver fatto una scoperta straordinaria.

I luoghi avevano una memoria e loro erano riuscite a risvegliarla.

PODCAST DELL’ESPISODIO DISPONIBILE QUI https://anchor.fm/anna-ponti

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