L’allegra leggenda dei Sapitos.

C’era una volta, molto lontano, oltre l’oceano, una città piena di sole e di allegria. Era la città dei Sapitos. minuscole rane trasparenti, più rumorose di un esercito di tamburi. Narra la leggenda che due giovani scienziati, una notte di moltissimi anni prima, avessero deciso di liberare alcuni animali sui quali un laboratorio stava facendo terribili esperimenti. Fu così che una coppia di Sapitos finì nell’erba fresca. Ma i Sapitos si sa, sono innamorati dell’amore e in breve tempo i due minuscoli piccioncini, ebbri di libertà, saltellando iniziarono a mettere su famiglia. Da due diventarono 4, poi 8, poi 16 e in men che non si dica diventarono una vera e propria colonia che invase tutte le aree verdi della città. I Sapitos dormivano di giorno e si scatenavano di notte danzando, ballando ma soprattutto suonando. Al posto delle dita avevano infatti piccolissime nacchere. Bastava muovere un pollice e immediatamente si accendeva un’indimenticabile festa che andava avanti fino all’alba. Ad alcuni però, tutta questa chiassosa gioia non andava proprio a genio. Molti cittadini passavano le giornate a lamentarsi. La situazione ad un certo punto iniziò a degenerare. Gli abitanti della città erano pieni di odio.

Andate via! Mostri!

Per la prima volta nella loro vita le ranocchiette cominciarono a sentirsi tristi.  Ad una giovane Sapitos, una notte scese addirittura una lacrima. La notizia, velocemente, raggiunse il vecchio capo della colonia, il quale, facendo scoppiettare una nacchera verso il cielo, affermò:

Basta. Ce ne andiamo. Peggio per loro!

Fu così che in una notte di luna piena l’intera colonia di anfibi se ne andò. All’improvviso, per la prima volta dopo anni e anni, la città piombò in un assoluto silenzio. Quando gli abitanti si resero conto dell’accaduto, dopo un attimo di stupore, iniziarono subito a congratularsi l’un l’altro.

Era ora!

Ora sì che si ragiona!

Dopo un po’ di tempo tutto quel silenzio iniziò a pesare. La città era spenta, pigra e prevedibile. Non c’erano più feste, non c’era più musica, non c’erano più sorprese. I cittadini cominciarono ad annoiarsi terribilmente. E la noia, crebbe, giorno dopo giorno fino a far piombare l’intera comunità in una profonda tristezza. Gli esseri umani all’improvviso si resero conto del grande errore che avevano fatto. Avevano passato così tanto tempo a pensare al rumore che si erano dimenticati che la vita, senza un po’ di scompiglio, era grigia e monotona.

Fu così che il sindaco, dopo aver meditato a lungo prese una importante decisione:

Facciamoli tornare.

Una delegazione di umani raggiunse la colonia di Sapitos e dopo una lunga trattativa li convinse a tornare in città. Le piccole rane fecero promettere che nessuno li avrebbe mai più odiati e che sarebbero stati liberi di fare tutte le feste che volevano. Rientrarono in città suonando come non avevano mai suonato, ridendo come non avevano mai riso, danzando come non avevano mai danzato. Tutti insieme, rane e esseri umani, parteciparono alla più grande festa che fosse mai stata realizzata.

I Sapitos, si scatenarono a tal punto che dovettero dormire una settimana intera per riprendersi.

Da quel giorno tutto cambiò.

I cittadini impararono ad apprezzare lo scompiglio.

I Sapitos a riposarsi, ogni tanto.

frog

Quando Luna mise i piedi per terra.

di Anna Ponti – Illustrazioni Martina Guidi
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Luna non riusciva a stare con i piedi per terra. La vedevi sempre sospesa a qualche metro dal pavimento e in balia degli eventi. Bastava una folata di vento per spostarla a sinistra e un colpo di tosse per spingerla a destra. Non parliamo di quando si ritrovava per sbaglio in mezzo a una lite. In quel caso era tutto uno sobbalzo e uno scossone di qua e di là. C’erano sicuramente anche dei vantaggi nel non avere mai i piedi per terra. Ad esempio Luna poteva guardare il mondo dall’alto e il sole da vicino. Poteva lasciarsi cullare dalla tiepida aria estiva e sfiorare l’erba spinta verso il basso dalla pioggia. Poteva contare i gatti sui tetti e solleticare con i piedi le punte degli alberi.
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Un giorno, la primavera era appena iniziata e Luna si trovava sospesa ad almeno 10 metri da terra. All’improvviso il cielo cominciò a rannuvolarsi e l’atmosfera si fece sempre più elettrica. Un forte temporale era in arrivo.

“Devo trovare al più presto un albero o un lampione a cui aggrapparmi!”.

Tropo tardi. Un violentissimo tuono illuminò il cielo e immediatamente iniziò a piovere così forte che Luna non riuscì più a vedere oltre la punta del suo naso. Un vento potente la travolse e iniziò a farla ruotare fortissimo. Era come essere all’interno di una centrifuga. Poi tutto iniziò a rallentare. Il vento si fece sempre più debole fino a cessare e con esso anche Luna si fermò e, guardandosi intorno spaesata, si chiese:

“Dove sono finita?”.

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Intorno a lei un’infinità di meravigliose luci e un profondo, intenso silenzio che avvolgeva tutto quanto. Il temporale l’aveva fatta uscire dall’atmosfera terrestre e ora si trovava nello spazio circondata da una miriade di stelle. Lassù, si sentiva ancora più leggera del solito e la terra vista da lì era ancora più bella. Le sembrava di poter sentire il vociare della gente. Le risate, le grida, i sogni, i desideri. Luna sospirò e in assenza di forza di gravità, andò a sbattere contro una stella che, con una delle sue estremità, la punse.

“Ahia!”.

Luna iniziò a sanguinare.

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E ad ogni calda goccia di sangue che perdeva, il suo corpo scendeva di qualche metro verso la terra. Oltrepassò l’ozono, sfioro i grattacieli, accarezzò gli alberi, superò i balconi, passò oltre le finestre e quando smise di sanguinare Luna appoggiò i piedi per terra. Fu come rinascere. Fu come respirare per la prima volta. Si sentiva forte, radicata profondamente al centro del mondo. Si sentiva più alta, più grande, più intensa, più donna.
Si sentiva una Luna nuova.
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FINE.