
Accanto alla stanza di Nina e Nena c’era un grande salice piangente. I suoi lunghi rami cadevano come braccia a cascata verso la terra e quando erano scossi dal vento sembravano spazzare via dolcemente la polvere dai pensieri. D’estate questo gigante buono diventava il custode del riposo, il riparo dall’afa, una tenda segreta dove prendersi il tempo di respirare dopo un anno di fatiche. Le due sorelline aspettavano la fine della scuola per riconquistare il loro angolo protetto. Prendevano una coperta, le loro bambole preferite e correvano a distendersi riparate da quell’amico gentile sotto il quale sembrava che niente e nessuno oltre a loro potesse entrare. Quel fazzoletto di giardino per giorni interi diventava la loro seconda casa.
Si dice che il Salice si chiami piangente perché è vicino all’acqua.
I suoi lunghi rami si tuffano come se volessero portare gocce di cielo alla terra per ricordarci che niente è così lontano come sembra.
Le bambine ogni tanto immaginavano che quella fosse la loro barca, circondata da un mare pronto ad accogliere i cambiamenti che ad ogni estate le rendeva nuove e diverse dall’anno prima.
Quando faceva molto molto caldo a volte si appendevano ai rami e fingevano di essere eroine della giungla. Selvagge coraggiose e spericolate pronte a sconfiggere tutte le paure. Un anno però i rami iniziarono a spezzarsi sotto al peso dei loro corpi. Le bambole rimasero chiuse in un armadio e la coperta iniziò ad accogliere nuove storie.
Distese per terra a pancia in su guardavano verso l’alto. I raggi del sole caldo di giugno facevano capolino tra le foglie e le loro parole svolazzavano disordinate come farfalle. Uno sciame di “sai che oggi, sai mi ha detto e poi ha fatto sai come secondo te secondo lei e tu e noi e loro e gli altri?”. La scuola, gli amici, le amiche, i bigliettini scambiati sotto il banco, i diari segreti, le vacanze e le promesse da mantenere. I silenzi poi, erano colmi di vita, palpiti sconosciuti dei loro giovani cuori. Era bello, lasciare i propri pensieri galleggiare nella tiepida aria dell’estate, lasciarli andare alla deriva per poi ritornare sulla terra ferma.
“Nina intrecciamo i rami?”
“Sì facciamo due trecce e poi le uniamo”.
Così si tesseva la trama delle loro vite. Ognuna per sé, alla scoperta di nuovi mondi che si incontravano sotto il sacro cerchio di quel magico custode.
Le emozioni non evaporano subito, come pioggia al sole. Tutti quei sapori di novità, quel dolce profumo di cambiamento, i segreti sbocciati, i corpi così presenti, abitavano quell’angolo magico. Un vociare invisibile che si confondeva con il fruscio delle foglie.
Si dice che d’estate, durante le notti di luna piena, i rami dei salici inizino a danzare. Le loro ombre fluttuano come capelli nel mare e le lucciole si riuniscono sotto le loro fronde a fare festa. Sono le notti in cui l’universo intero respira e celebra ogni rinascita.
Oggi quel salice, testimone della loro crescita non c’è più. Eppure se capita di passare proprio lì, dove un tempo le sue foglie ospitavano i segreti di due bambine che diventavano donne, viene voglia di fermarsi ad ascoltare e lasciarsi cullare da quella danza della vita.
