La danza degli specchi.

Ogni volta che nasce un bimbo si apre la grande danza delle somiglianze. Ancora non ha finito di mettere il piede fuori dalla pancia e intorno a lui già è tutto un walzer al giro di “è tutto mammà” ed  “è tutto papà” e “guarda qua” e “guarda là”. La creatura è stropicciata, rossa in volto, la testa storta e il naso schiacciato. Assomiglia più ad un ranocchio, ad un porcellino d’India che ad un essere umano. La platea di appassionati però pare non accorgersene. È certamente vero che ogni bimbo erediti caratteri dalla madre e dal padre. È altrettanto vero che gli adulti, tra le pieghe dei neo arrivati, cerchino in una ansiosa caccia all’oro un senso da dare alla propria esistenza. Inutile dire quanto queste danze non siano altro che un girare a vuoto. Una nonna, in bilico sulle punte dei piedi per vedere meglio, dice “guarda ha lo stesso naso che aveva suo padre” e dall’altra parte della stanza l’altra nonna in piedi su una sedia aggiunge gridando “ha proprio il naso alla francese come sua madre”. Impossibile trovare un accordo. Nemmeno le foto sparpagliate sui tavoli, serviranno ad emettere una sentenza. Passano i mesi, il bimbo cresce e incredibilmente il relativismo delle somiglianze si fa ancora più acceso. La mamma esce di casa tronfia col suo passeggino 4X4. Deve fare la spesa e nella borsa si prepara a mettere compiaciuta qualche Kg di “ma che bel bambino! Tutto sua madre!”. Peccato che subito dopo le parole “sua madre” rotolino come patate dalla borsa e vengano prontamente sostituite da un cristallino e solido “suo padre”. La madre tronfia, al suono di quel “tutto suo padre” si contrae in una smorfia, volta i tacchi e se ne va mordendosi un labbro. E qui si apre il più grande dei quesiti: perché pare tanto triste e inaccettabile il fatto che suo figlio somigli al padre? All’uomo per il quale in teoria scalpita di amore a tal punto da aver voluto procreare? E allora evviva i bimbi che sono una combinazione unica e non una somma di eredità. Quelli considerati fin dal primo respiro persone e non prolunghe. Quelli nati tra le lenzuola e non in un foglio excel. Quelli osservati con il semplice sguardo dell’amore e della meraviglia al riparo dal teatro del giudizio e dell’aspettativa. Evviva i bimbi figli di madri che al suono di quel “è tutto suo padre” si sciolgono in un sorriso dolce perché non vedono altro che il proprio amore raddoppiato, moltiplicato, infinito. Evviva le madri che amano senza pretese e che ricevono dai figli risposte senza mai cercarle.

 
Nella foto. Io e il mio sguardo scorpionico ereditato da nessuno.

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