LA STANZA DELLE ABITUDINI FELICI.

Nella nostra mente, in mezzo alle scadenze, alle paranoie, ai brutti ricordi, all’ansia, ai sensi di colpa e a tutte quelle orrende cose lì, c’è una stanza che racchiude i piccoli momenti di non trascurabile felicità. In questi ultimi anni, nonostante tutto, nonostante i dispetti della vita, la mia camera dei ricordi felici si è riempita di scatoloni. Pensavo in questi giorni al piacere che sono in grado di provocarmi certe abitudini. Nelle mie giornate faticose e variabili ho creato inconsapevolmente delle costanti che mi danno pace. Ho deciso di mettere anche questo nella stanza dei sorrisi. E per fissarmi bene in testa questi istanti non banali ho deciso di elencarli tutti. Di essere consapevole delle mie piccole fortune quotidiane e di smetterla di lamentarmi sempre. Si tratta di azioni che si ripetono come rituali. Ogni giorno, sempre uguali, rassicuranti nel loro essere sempre così. Piccoli porti in cui attraccare e, riposare.

MOMENTO N°1. Quando do a Pietro il biberon pieno di latte. Perché il sole non è ancora sorto e siamo soli io e lui. Perché nella camera c’è solo un filo di luce. Lo prendo in braccio e mi siedo sulla poltrona e lui si abbandona su di me. Tutti i giorni gli bacio la testolina e poi la annuso cercando di fare mio per sempre quel profumo.

MOMENTO N°2. Quando Vittoria si sveglia ed è tutta arruffata e tutta calda calda come una boule e morbida morbida come un antistress. Cammina barcollando e viene ad abbracciarmi e io affondo in lei, nei suoi capelli e nelle sue braccia e la tengo lì. Finché non arriva Pietro a reclamare la sua dose.

MOMENTO N° 3. La colazione al bar con Vittoria. Quando lei finalmente si rilassa dopo le lotte per vestirsi e per uscire. Ogni giorno va a sedersi allo stesso tavolo. E il barista mi porta il solito americano. E io prendo il solito paninetto per lei. E la guardo furbetta fare un mare di briciole e correre alla porta per vedere se arriva il pulmino.

MOMENTO N°4. La telefonata a mia sorella dopo aver lasciato Vittoria. Salgo in macchina e mentre vado in ufficio la chiamo. E le nostre telefonate sono sempre deliranti sfoghi, pianti, risate, racconti folcloristici delle nostre serate e dei nostri risvegli. E queste chiacchiere per me sono famiglia, vita e sorellanza e ogni volta metto giù e non mi sento più sola, mi sento capita e amata e mi sento grata.

MOMENTO N° 5. Quando accendo il computer e inizio a scrivere. In quell’istante il piacere e la pace si impossessano di me. Dal cuore poi passano alla testa e agli arti e nel tempo in cui riesco a concentrarmi io, scrivendo mi riposo.

MOMENTO N°6. Il caffè, sul divano con il biscotto dopo pranzo. Torno sempre a casa per pranzo. Perché mentre pranzo, sempre con una leggera ansia a farmi compagnia, imposto la cena. In un’ora mangio, cucino, riordino. E quando finisce questa maratona mi concedo una tazza di caffè con un biscotto. E in quel biscotto, io, ritrovo tutta la voglia di vivere.

MOMENTO N° 7. Quando rivedo i miei figli dopo l’asilo. Piccole, impercettibili esplosioni di gioia nel vederli corrermi incontro e abbracciarmi gridando “Mammaaaa”. E lo so che poi mi aspetteranno almeno due ore di capricci, litigate, urla, stress. Lo so che fra un attimo nulla sarà più sotto il mio controllo. Ma non mi importa io per quei momenti in cui li riabbraccio sono disposta a tutto. Quegli abbracci danno un senso a tutto.

MOMENTO N°8. La giornata sta per finire, il peggio è passato. I bambini finalmente dormono e si apre la porta di casa e torna Lorenzo. Ed eccola, un’altra esplosione impercettibile di gioia. Io ti guardo dal divano entrare con la tua faccia furba. Mentre non dici niente ma dici tutto. E corri in cucina a mangiare perché muori di fame e io ti raggiungo, mi siedo sull’isola, mi abbraccio le ginocchia e ci raccontiamo la nostra giornata. E penso che l’amore è questa cosa qui. Essere sempre così felice di rivederti e di raccontarti.

Sono questi i miei momenti felici. Gli appuntamenti immancabili che scandiscono le mie giornate. E sì, fra un momento felice e l’altro può succedere di tutto, ma finché ci sono queste parentesi, nessun giorno potrà mai essere davvero una merda.

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Ribelli sì. Ma vestite di chiffon.

Sono stata una bambina e una ragazza molto “intellettuale”. Testa nei libri e pochi vezzi. Ho esplorato e vissuto poco, fino ad un certo punto della mia vita, la mia femminilità. Incombeva sulla mia testa un veto per tutto ciò che potesse essere colorato, sgargiante, frou frou, appariscente. Concessi il bon ton, la sobrietà, l’eleganza fatta di poco. Vietate le esplosioni di colore e di femminilità. Sono cresciuta sognando deserti e gonne ampie scosse dal vento e ho aspettato di diventare grande per indossarle senza paura. Più sicura di me stessa e della donna che voglio essere. Oggi si parla tanto, troppo, di un modello femminile che assomiglia più a un uomo che a una donna. Vestiamo le bambine da scienziate, da matematiche, da elfi del bosco dimenticandoci di quanto noi abbiamo sognato ali di fata per volare. Una donna deve sognare in grande. Vero. Ma deve anche sentirsi libera di indossare quella gonna di chiffon (o di non farlo). Quest’anno mia figlia ha voluto vestirsi da Gufetta dei Super Pigiamini. Poi, passato il carnevale, mi ha detto “Mamma però l’hanno prossimo posso vestirmi da principessa?”. Ma certo bimba mia. Vestiti pure da principessa. Fallo senza paura di essere giudicata. Fallo con leggerezza e con convinzione. Perché io non ti auguro di assomigliare a un uomo. Ti auguro di sentirti principessa in ogni cosa che vorrai fare. Una principessa medico con un tacco 12. Una principessa matematica con una gonna cangiante. Una principessa manager con la corona. E ti auguro di non abbassare mai la testa. Perché è quando abbassiamo la testa che la corona cade. Non quando ci vestiamo di rosa. 

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