Quando Luna mise i piedi per terra.

di Anna Ponti – Illustrazioni Martina Guidi
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Luna non riusciva a stare con i piedi per terra. La vedevi sempre sospesa a qualche metro dal pavimento e in balia degli eventi. Bastava una folata di vento per spostarla a sinistra e un colpo di tosse per spingerla a destra. Non parliamo di quando si ritrovava per sbaglio in mezzo a una lite. In quel caso era tutto uno sobbalzo e uno scossone di qua e di là. C’erano sicuramente anche dei vantaggi nel non avere mai i piedi per terra. Ad esempio Luna poteva guardare il mondo dall’alto e il sole da vicino. Poteva lasciarsi cullare dalla tiepida aria estiva e sfiorare l’erba spinta verso il basso dalla pioggia. Poteva contare i gatti sui tetti e solleticare con i piedi le punte degli alberi.
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Un giorno, la primavera era appena iniziata e Luna si trovava sospesa ad almeno 10 metri da terra. All’improvviso il cielo cominciò a rannuvolarsi e l’atmosfera si fece sempre più elettrica. Un forte temporale era in arrivo.

“Devo trovare al più presto un albero o un lampione a cui aggrapparmi!”.

Tropo tardi. Un violentissimo tuono illuminò il cielo e immediatamente iniziò a piovere così forte che Luna non riuscì più a vedere oltre la punta del suo naso. Un vento potente la travolse e iniziò a farla ruotare fortissimo. Era come essere all’interno di una centrifuga. Poi tutto iniziò a rallentare. Il vento si fece sempre più debole fino a cessare e con esso anche Luna si fermò e, guardandosi intorno spaesata, si chiese:

“Dove sono finita?”.

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Intorno a lei un’infinità di meravigliose luci e un profondo, intenso silenzio che avvolgeva tutto quanto. Il temporale l’aveva fatta uscire dall’atmosfera terrestre e ora si trovava nello spazio circondata da una miriade di stelle. Lassù, si sentiva ancora più leggera del solito e la terra vista da lì era ancora più bella. Le sembrava di poter sentire il vociare della gente. Le risate, le grida, i sogni, i desideri. Luna sospirò e in assenza di forza di gravità, andò a sbattere contro una stella che, con una delle sue estremità, la punse.

“Ahia!”.

Luna iniziò a sanguinare.

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E ad ogni calda goccia di sangue che perdeva, il suo corpo scendeva di qualche metro verso la terra. Oltrepassò l’ozono, sfioro i grattacieli, accarezzò gli alberi, superò i balconi, passò oltre le finestre e quando smise di sanguinare Luna appoggiò i piedi per terra. Fu come rinascere. Fu come respirare per la prima volta. Si sentiva forte, radicata profondamente al centro del mondo. Si sentiva più alta, più grande, più intensa, più donna.
Si sentiva una Luna nuova.
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FINE.

La rosa di Elena.

Elena aveva paura della luce. Camminava sempre raso muro per nascondersi all’ombra dei palazzi e quando entrava in una stanza andava alla ricerca dell’angolo più buio. Temeva che la luce potesse mostrare a tutti i suoi pensieri. Di giorno si nascondeva sotto un ombrello e di notte evitava il chiarore della luna. Viveva la sua vita così, in punta dei piedi per non fare troppo rumore.

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Una notte stava tornando a casa e all’improvviso illuminato da un lampione un fiore attirò la sua attenzione. Era il bocciolo di rosa più bello che lei avesse mai visto. Aveva petali argentati che sembravano polvere di stelle. Veniva voglia di toccarla, di avvicinarla al viso, di tenerla stretta.

Chissà che buon profumo che ha.

Elena iniziò ad avvicinarsi per cercare di sentirlo ma, terrorizzata dal bagliore, a mezzo metro dal fiore si fermò e scappò via. Da quel momento però, non riuscì più a smettere di pensarci. Tutte le sere passava di lì e osservava la sua rosa crescere e aprirsi e risplendere alla luce del lampione. E ogni sera si avvicinava un po’ di più e rimaneva lì seduta per terra, con le ginocchia strette al petto a sognare di portarla con sé.

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Poi una notte, la rosa parlò. Fu una frase sola. L’unica della sua breve esistenza.

I tuoi pensieri sono molto belli.

Elena si sentì invasa da una vampata di calore che dalle orecchie raggiunse il suo cuore. Quell’espressione d’amore la sollevò e lei non poté fare a meno di alzarsi in piedi e di correre dal suo splendido fiore. Ebbe giusto il tempo di sentire il suo profumo, poi i petali leggeri caddero a terra. Elena ne raccolse uno e se lo mise in tasca.
Da quel momento smise di evitare la luce.
Da quel giorno smise di vergognarsi dei suoi pensieri.
Da quella notte, amando, iniziò ad amarsi.

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Illustrazioni: Valentina Albera

Buonanotte papà.

Accendevano la pila e si nascondevano sotto quella capanna di lenzuola e gambe. E giocavano alla vita facendo la lotta contro il sonno. Per lei era una grande avventura. Per lui una dolcissima tregua. E lei poteva anche immaginare il pericolo perché tanto c’era lui lì, pronto a salvarla. E così un ginocchio diventava uno scoglio su cui naufragare, le mani conigli e le bocche sbadigli. E la pancia faceva proprio rumore.

C’è qualcuno lì dentro?

C’è amore.

E poi un occhio si chiudeva e poi due. Una carezza sulla fronte, un bacino sul naso.

E allora lui spegneva la pila e le lenzuola tornavano letto.

Sogni d’oro piccina.

Buonanotte papà.

La nostalgia di Vera.

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Nel paese dove il sole non tramonta mai, viveva una bambina di nome Vera. Era nata nella giungla sotto le ali di enormi pappagalli colorati. Sua mamma e suo papà si erano trasferiti lì poco prima che lei nascesse. Era cresciuta mangiando cocchi ed era diventata grande giocando a nascondino con i colibrì. Ogni sera si addormentava felice ascoltando il canto di minuscole rane.

Una sera d’estate, Vera si era appisolata in riva al mare sotto una giovane palma. Non c’era un filo d’aria e l’acqua era un manto di velluto.  All’improvviso qualcosa turbò quella notte tropicale. Le rane smisero di cantare e le stelle nel cielo decisero di cambiare bruscamente il loro corso. Un forte vento si alzò all’improvviso sollevando una immensa nuvola di sabbia che in un attimo, inesorabile, travolse Vera. Per un istante che le parve un’eternità le fu impossibile respirare.  Poi il vento cessò e tutto parve ritornare come prima. Le rane ricominciarono a cantare e le stelle a brillare. Da quel momento però, Vera non riuscì più a dormire. Durante la tempesta, un granello di nostalgia le era finito dentro depositandosi al centro del suo cuore. Giorno dopo giorno, quel minuscolo sassolino aveva iniziato a pesare su di lei come un macigno impedendole di chiudere occhio.

Passarono i mesi. Vera continuava a non dormire. Non aveva più appetito e non aveva più voglia di giocare. Passava le giornate a pensare ai cocchi passati e alle partite a nascondino finite. Non riusciva più a godersi il presente.

Un giorno Vera era al centro della giungla e osservava le liane oscillare avanti e indietro. Le foglie verdi sussurravano una ninna nanna tra le sue ciglia.

Non devo dormire. Non devo dormire. Non devo dormire.

Lottava contro se stessa. Una stanchezza infinita le avvolgeva il cuore e i pensieri.

Se dormo tutto questo finirà.

All’improvviso una farfalla iniziò a volarle davanti agli occhi. Era la farfalla più incantevole che lei avesse mai visto. Aveva ali di seta, zampe d’argento e il suo volo era una dolcissima danza.

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Non poteva fare a meno di guardarla. Seguendo i suoi movimenti leggeri  la nostalgia senza che lei se ne accorgesse scivolò, come una cascata, dai suoi occhi. Finalmente Vera si addormentò.

Dormì profondamente. Dormì come non aveva mai dormito prima. E in quel sonno rivide tutto e tutti. Il sorriso di sua mamma, le gambe forti di suo papà, gli amici colibrì, le rane, i sapori, gli odori. Respirò l’intensità del sole e il fresco della sera.

Poi vide le stelle muoversi velocemente in un cielo senza limiti e subito dopo si ritrovò in un luogo che non aveva mai visto. Intorno a lei una coltre di neve bianca ricopriva tutto quanto. Un silenzio perfetto avvolgeva ogni cosa. Vera non aveva mai visto nulla di più bello.

In quel momento capì. Il tempo passa, le estati finiscono, i colori si trasformano.

Cambiano i posti in cui viviamo e le persone con cui camminiamo ma le occasioni per essere felici non finiscono mai. Ogni stagione, con le sue sfumature, ha la sua sorprendente magia.

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Un leggero solletico disturbò quei pensieri. Al centro della sua mano c’era una bellissima farfalla. La osservò volare via, allontanarsi, una minuscola macchia di nostalgia in un mare di pace.

In quel momento si svegliò. Sua Madre le stava accarezzando i capelli.

Accanto a loro era appoggiata un’enorme valigia.

Svegliati tesoro, è ora di andare. Un nuovo paese ci aspetta.

Vera era pronta. Ora sapeva che quella non era la fine.

Era l’inizio di una nuova parte della sua vita.

Senza guardarsi indietro salì su una nave.

In tasca una rana e nel cuore una certezza.

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Il pesciolino.

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Kay è seduta su un molo di legno. Guarda un orizzonte infinito con gli occhi pieni di tutto. All’improvviso si toglie le scarpe e le lancia nel mare. Le osserva scomparire piano piano, mettere una distanza tra la testa e i piedi.

Si guarda intorno, non c’è nessuno. Solo lei e le sue gambe nell’acqua.

 

 


 

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Chiude gli occhi. L’aria è così calda che le sembra di respirare sassi. Così calda che all’improvviso si lascia cadere e il mare la accoglie aprendo le sue braccia.

È bello sprofondare. È importante, dimenticare.
Poi la discesa finisce e Kay si ritrova sul fondo del mare. I granelli di sabbia sono ricordi e lei è acqua. Tutto intorno raggi di luce, fili di seta tesi tra il cielo e la terra.

 

 


 

 

All’improvviso un pesciolino dorato inizia a nuotarle intorno, una piccola anima subito immensa nel suo cuore. Sono così felici di vedersi che la gioia si trasforma in minuscole lacrime calde. La corrente le spinge verso il pesciolino e le sue squame di sole per un attimo diventano di luna.

 

 


 

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E in quel momento Kay capisce. Capisce che non potrà mai dirgli in quale oceano vivere. Non potrà proteggerlo da tutte le tempeste. Non potrà impedirgli di sentire freddo. Di sbattere contro uno scoglio. Di sentire tutto il dolore di una perdita e tutto l’amaro di una delusione. Non potrà regalargli la pace e insegnargli la serenità. In quel momento nel suo mare Kay si rende conto che c’è soltanto una cosa da fare.

 

 

 


 
“Devo diventare la persona che ho sempre sognato di diventare. Perché solo così, tu saprai che i sogni, possono trasformarsi in realtà. Solo così, tu ti sentirai davvero libero, di essere te stesso. Scoprendo, nel mio sguardo la luce che appartiene a chi non ha rimpianti. Leggendo tra le pieghe del mio viso, la fatica di chi ha scelto di non avere paura.”
 


 

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È il momento di andare. Il pesciolino la saluta nuotandole sugli occhi.

 

 


 

Kay si lascia di nuovo cadere. Ed è bello, sprofondare. È importante, dimenticare. Si risveglia seduta su una spiaggia. Accanto a lei una piccola anima da sempre immensa nel suo cuore.Kay la abbraccia per proteggerla dal freddo. La abbraccia ringraziandola per tutto.

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Illustration Roberto Hikimi

Asia.

Si era arrampicata sul punto più alto della città.

Ci aveva messo 30 giorni, 3400 piccoli passi, 130 pause caffè, 46 gatti incrociati per strada, 56 cani guardati con timore, 1 storta ad un piede, 1000 persone salutate, 4 abbracciate, 1 baciata. Ora finalmente era lì. Circondata da aiuole di tulipani guardava la città ai suoi piedi. Il tramonto incendiava la punta degli alberi e un vento tiepido le accarezzava i pensieri. Era tutto così bello e si sentiva così viva che quasi faceva un po’ male. Fu così che il sole lasciò il posto alla notte e Asia iniziò a sospirare. E ad ogni sospiro una luce da qualche parte si accendeva. Una dopo l’altra tutte le finestre delle case, gli androni delle chiese, le hall degli alberghi, le vetrine dei bar si illuminarono disegnando un paesaggio incantato. In quel momento Asia capì che la felicità era tutta lì. In quella notte perfetta e nei 3400 piccoli passi compiuti per arrivarci.

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